Résumé :
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Le termiti – o «formiche bianche», come anche furono denominate – hanno attirato sempre, fin da quando Linneo, nel 1748, le classificò, un interesse violento e di specie affatto particolare: questi esseri arcaici e ciechi, provvisti di un imponente potere costruttivo e distruttivo, ordinati rigidamente nella loro esistenza sotterranea, guidati da un centro immobile e nascosto, come il regno cinese era retto dall’Immobile Figlio del Cielo, suscitano naturalmente una serie di interrogativi, proiezioni e provocazioni. La ricerca sulle termiti è stata perciò, sempre, inestricabilmente connessa con temi generalissimi che coinvolgono anche l’uomo – basti pensare come il vocabolo «termitaio» sia venuto a designare l’immagine minacciosa e ipnotica di una società perfettamente organizzata, inferno o paradiso.
Una tappa importante in questi studi è stata segnata dal libro che qui presentiamo. Il suo autore, Eugène N. Marais, era un ricercatore affatto singolare: uomo solitario, schivo, vissuto quasi sempre nel Sud Africa, dove era nato, egli condusse per anni e anni, senza stretti legami con la scienza ufficiale, i suoi studi sulla vita animale, arrivando perfino a vivere per tre anni in mezzo a un branco di babbuini. Così egli applicava già, a suo modo, il metodo di osservazione di molti etologi di oggi, che studiano il comportamento degli animali in libertà. Di fronte alle termiti, Marais non si pone tanto delle questioni tassonomiche, fisiologiche e biologiche; egli cerca piuttosto di individuare l’essenza termite nella sua particolarità, di scoprire in questi esseri, per molti aspetti unici, l’inquietante archetipo di una remota forma di vita. Forse, proprio grazie a questa sua esclusiva concentrazione su un punto, Marais è arrivato a formulare un’intuizione fondamentale, veramente illuminante – e cioè che il termitaio, più che a una società, è paragonabile a un corpo, per esempio il corpo umano, ed è quindi ciò che oggi si chiama un superorganismo. Come nelle sue ricerche Marais seguiva procedimenti particolari, piuttosto da outsider che da scienziato ortodosso, così nell’esposizione delle sue opere egli scelse una strada del tutto sua. L’anima della formica bianca non si presenta come un trattato sulle termiti, ma piuttosto come il resoconto di una ricerca appassionata, di un’avventura in una terra incognita, che procede con sempre maggiore suspense fino all’ultimo emozionante capitolo, in cui Marais racconta come, una volta, gli riuscì di vedere il cervello del termitaio, l’immobile regina nella sua cella, fonte di ogni vita e di ogni attività specifica.
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