Résumé :
|
«Sono così scontento delle enciclopedie, che mi sono fatto questa enciclopedia mia propria e per mio uso personale. Arturo Schopenhauer era così scontento delle storie della filosofia, che si fece una storia della filosofia sua propria e per suo uso personale». Con questa lapidaria dichiarazione Alberto Savinio ci introduce a questa sua Nuova Enciclopedia, a cui lavorò negli anni Quaranta e che solo ora vede la luce. Fin dalle prime pagine, dove spiccano gloriosamente le voci «Abat-jour» e «Abbiategrasso», si ha l’impressione di trovarsi di fronte all’opera che, proprio per l’irriverente paradossalità della sua forma, più di ogni altra è adatta a rappresentare la ‘totalità Savinio’, questo intricato coacervo di talenti che nascondeva uno dei rari grandi scrittori italiani di questo secolo. E se ormai tanti, in Italia e fuori d’Italia, concordano nel riconoscere il magistero del pittore e del narratore visionario, non altrettanta attenzione si è fatta finora a un lato di Savinio che si manifesta allo stato puro in queste pagine: la sua strepitosa ‘intelligenza’, l’acutezza di un pensiero senza timori, capace di passare agilmente dal ridicolo quotidiano al ridicolo universale, dalla metafisica ai segreti dello stile, dai lapsus alla cronaca nera, da Apollo a Joséphine Baker, dal commento alle frasi del portiere a un frammento dei Presocratici. Animata in ogni voce da una stupefacente mobilità di spirito, questa enciclopedia così irriducibilmente ‘personale’ ci si presenta come un perfetto autoritratto, ma anche come un ritratto della nostra civiltà, giunta a quel punto di saggezza disperata in cui deve riconoscere che il suo sapere non può più appellarsi al sigillo di un’unità, mentre l’unica possibilità ancora intentata è quella di disperdersi amorosamente nei più disparati e divergenti meandri, senza fingere una coerenza da lungo tempo abbandonata. Unico filo comune fra queste «voci» rimane allora, forse, una ingiustificata serenità e ironia, una disponibilità al comico che aiuta nella grande opera di trasporre ogni scienza in ‘gaia scienza’. Ma è Savinio stesso, alla voce «Enciclopedia», a esporre con la massima lucidità le ragioni di questa sua impresa, nella quale molti, si può sperare, riconosceranno l’enciclopedia oggi più usabile e certamente l’unica che riservi sicure sorprese: «Oggi non c’è possibilità di enciclopedia. Oggi non c’è possibilità di saper tutto. Oggi non c’è possibilità di una scienza circolare, di una scienza conchiusa. Oggi non c’è omogeneità di cognizioni. Oggi non c’è affinità spirituale tra le cognizioni. Oggi non c’è comune tendenza delle conoscenze. Oggi c’è profondo squilibrio tra le conoscenze. Questa la ragione di quella ‘crisi della civiltà’ denunciata prima da Spengler e poi da Huizinga. E come ci può essere equilibrio, come ci può essere civiltà – che significa omogeneità nella polis – se alcuni uomini pensano alla curvatura dello spazio e al sesso dei metalli, e altri contemporaneamente pensano all’architettura tolemaica dell’universo? E poiché d’altra parte non c’è speranza che idee così lontane possano riunirsi e fondersi, conviene rassegnarsi a una crisi perpetua e sempre più grave della civiltà. Rinunciamo dunque a un ritorno alla omogeneità delle idee, ossia a un tipo passato di civiltà, e adoperiamoci a far convivere nella maniera meno cruenta le idee più disparate, ivi comprese le idee più disperate».
|