Résumé :
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«Non ero Giona sepolto nell'umido | respiro dello squalo: fu un vapore | d'uomini che m'accolse»: sin dalla Stazione di Pisa si disegna, coerente, una maditata parabola figurale nella poesia di Giovanni Giudici, che sa declinare - solidali - lo sgomento dell'esistere e l'anelito della vigilia: «Portaci sacco infinito infinitesimi giona» (Lume dei tuoi misteri). «La sola moltitudine perenne» trova voce in una parola che negli anni è - con crescente adesione - discesa negli interstizi dell'esserci: «Per questa sola differenza che |c'è tra il vivere e l'esser costretti | a vivere». La scrittura poetica di Giudici presenta qui le proprie Prove, in gran parte inedite: saggia e lascia misurare le ragioni di una fedeltà, assoluta sempre, alla voce che detta: «Un'altra voce | oggi mi parla che non so , mi dice: | lo sai perché resistere». Non una protostoria dunque offrono questi versi, disposti ad annali, dei maggior volumi: bensí l'ouverture di motivi che saranno nel tempo orchestrati in una coralità che fonde residui di memoria, anonimato quotidiano, parvenze oniriche: «Angoscia ci tormenta | Di innocuo non veduto quotidiano». Nessun'altra poesia del nostro tempo ha saputo, come quella di Giudici, elevare a poema, con la parola minima della «veste carnale» il destino di ciascuno, far sí che una sola, unica, domanda: «(E fosse stato amore la mia sola | verità di rimorsi?)» per compiersi trovasse «il nome nel quale consumarsi».
Carlo Ossola
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