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Titre : | Hilarotragoedia |
Auteurs : | Giorgio Manganelli, Auteur |
Type de document : | texte imprimé |
Editeur : | Milano : Feltrinelli Editore, 1972 |
Collection : | I narratori di Feltrinelli |
Format : | 157 p.; 20 cm |
Résumé : |
Animato dalla “balistica discenditiva” che è uno dei suoi temi principali, questo libro precipitò come un meteorite dai cieli poco nuvolosi della nostra letteratura dei Late Fifties nei mari fortemente mossi degli Early Sixties, annuncio d’una stagione delle lettere italiane carica di perturbazioni atmosferiche, ma soprattutto fenomeno vivente che non avrebbe cessato di sbalordirci, fuor di tutti i calendari e le effemeridi, per una carica aggressiva che è lungi dal decrescere.
Da allora l’Hilarotragoedia continua dinanzi ai nostri occhi ipnotizzati a discendere chinare calare digradare dirupare piombare, tutti verbi che nella prospettiva lessicale del libro significano il più trionfale adempimento d’un destino. Era entrato in scena Giorgio Manganelli, personaggio unico nella letteratura nostra e altrui, somigliante solo e unicamente a se stesso, colui che sarebbe diventato il teorico e il critico della Letteratura come menzogna, l’autore che dal testo oggi raro del Discorso sulla difficoltà di comunicare coi morti al più divulgato Nuovo commento ha continuato a tessere una ragnatela sempre più sottile e a caricarla di tutti i plinti i capitelli le metope marmoree che i suoi scavi linguistici e iconici e sapienziali portano alla luce. Se la formula del libro è quella del trattato, lo spazio che esso viene costruendo intorno a noi (fin dal titolo, che “ripete il nome di un’antica rappresentazione eroicomica”, come avvertiva la presentazione di copertina) è quello d’un teatro, teatro d’un’architettura composita tra il rinascimentale e il barocco con qualche merlettatura di neogotico, teatro dotato pure di una cupola zodiacale come un planetario — solo che questa cupola è rovesciata verso il basso –, teatro dedicato ai virtuosismi di un unico primattore: il linguaggio. Sulla scena manganelliana, il linguaggio dà spettacolo di se stesso, è esso stesso scenografia, macchina scenica, gioco d’acqua, fuoco d’artificio, prestidigitazione, acrobazia capriola sberleffo. Vocaboli imprevisti, metafore rapinose si susseguono col ritmo di un accesso d’ilarità prorompente, ma già per le crepe di quel terremoto interiore che è il riso ci addentriamo nell’ombra di cachinni sempre più cupi fin quasi a sbucare all’altro polo dell’ossimoro, alla tragedia. Nel centro o estremo nadir del trattato-teatro un dotto umanista, circondato dagli angeli neri dell’umore atrabiliare e dell’inchiostro erudito, rovescia come un guanto l’immagine trionfalistica dell’uomo e ne dimostra la natura derisoria e grottesca, (infierendo sempre di più, fino all’episodio della visita della madre, e a quello del non nato) non senza proporre grandiose mappe dell’animo umano (l’io e gli eidola) o del cosmo (il mondo come Ade) degne di un filosofo gnostico, per approdare alla tenebrosa illuminazione quasi taoista dell’Ade come buco nell’universo. Italo Calvino |
Exemplaires
Code-barres | Cote | Support | Localisation | Section | Disponibilité |
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aucun exemplaire |